Ricordando Giuseppe Antonello Leone: un omaggio pittorico e testuale all'artista scomparso ed una analisi critica sullo stato dell'Arte

14 Ottobre 2020 Redazione A&S 3733

NELLA FOTO: FRANCO LISTA – RITRATTO DI GIUSEPPE ANTONELLO LEONE – 2020.

Arte & Società vi propone, in esclusiva, uno sketch realizzato dall'artista-architetto Franco Lista (china e acquerello su carta) dedicato al compianto maestro Giuseppe Antonello Leone. Nato il 6 Luglio 1917 a Pratola Serra (AV), il maestro Leone si spegne a Napoli il 26 Giugno 2016, lasciandoci in "eredità" una valida e copiosa produzione artistica. Per conoscerlo meglio, vi segnaliamo il libro fotografico di Rino Vellecco dal titolo Giuseppe Antonello Leone. Lo stile è l'uomo, con testi di Franco Lista, Clementina Gily Reda e Maurizio Vitiello, nostro insostituibile critico d'arte.

Allo schizzetto, Lista accompagna – dietro incoraggiamento del sociologo Maurizio Vitiello – anche un ricordo profondo del maestro Giuseppe Antonello Leone, contenente una stimolante analisi critica sullo stato dell'Arte attuale.

Ricordando il maestro Giuseppe Antonello Leone

Ho sempre guardato l'operare di Giuseppe Antonello Leone con grande stupore, come a qualcosa di misterioso e insieme magnetico, in grado di attirare l'attenzione per il rapporto che Giuseppe ha con la materia e la natura. Mi accorgo solo ora che quello che faceva nelle mattinate primaverili, sui prati di trifoglio o sul greto del fiume Titerno, era l'interlocuzione profonda, colloquiale, con la materia. Ancora oggi quel rapporto, offerto dalla sensibilità acutissima di Giuseppe, è rimasto dentro di me, quando ripercorro con il ricordo l'azione che l'artista eseguiva, attento a focalizzare fulmineamente un quadrifoglio o a riconoscere un ramo tortuoso che inglobava un sasso. Era intento a individuare quel qualcosa di non-materiale che la materia possiede, come sosteneva Voltaire.

Scrissi questa breve annotazione, insieme ad altri diversi e succinti appunti, in un mio scritto, Neapolitana fragmenta, nel 2006. Si tratta solo di un frammento, di una concisa riflessione su uno dei tanti aspetti della poliedrica personalità di Giuseppe Antonello Leone, pittore, scultore, ceramista, poeta, scrittore, grande esperto e sperimentatore delle tecniche artistiche, didatta e pedagogista della formazione artistica. Questi gli aspetti, mai dissociati, della sua individualità di artista a tutto tondo, del suo modo olistico di affrontare i problemi, condito sempre dalla saggezza del "filosofo della propria esistenza" e da una imponderabile sensibilità che, a volte, diventava intransitiva sensitività, cioè capacità di avvertire cose che non si avvertono normalmente.

Dunque capacità extrasensoriali, come mi è accaduto più volte di assistere, che sconfinavano persino nel paranormale. Il suo rapporto con la materia era totale! Proprio in forza di queste straordinarie e rare predisposizioni che gli consentivano di dialogare e interrogare la materia, andando molto oltre la tangibilità della sua forma esteriore.

Sicuramente sono prerogative di pochi, grandi artisti; penso a Michelangelo che all'interno del blocco di marmo già intravvedeva la forma e scolpendo la liberava col levare il soverchio, cioè il superfluo. Penso a Joan Mirò quando dichiarava di lasciarsi "guidare dalla materia" nel suo operare generativo di pitture e sculture.

Giuseppe Antonello Leone, da artista sensitivo materializzava forme e volti da pietre, da contenitori di latta, di plastica, di polistirolo; leggeva, quello che riteniamo fortuito e accidentale nei marmi, nelle pavimentazioni, nelle strutture polimorfiche delle rocce; conosceva il linguaggio del casuale, dell’arte involontaria di cui la natura è eternamente creatrice e misteriosa dal momento in cui ne nasconde il senso.

Rinvenire sostanza e forma, ossia sensibile e intelligibile, nella materia significava per Leone non solo dare corso ad un impulso espressivo ma era un atto profondo, sostanzialmente spirituale, che l’artista compiva nell’attribuire, brunianamente intesa, l’identificazione tra materia e mens divina.

In questo consisteva la religiosità di Giuseppe Antonello Leone quando accedeva a quel quid d'immaterialità, soddisfacendo agli intimi bisogni dell'arte e dell'anima. Estirpata dal novero delle attività autenticamente poetiche, ecco la cosa che stava più fortemente a cuore al nostro artista e riposta nella zona umbratile della più profonda sua intimità.

Nell'epoca dell'Arte declassata a pura merce semiologica (come criticamente affermava Mario Perniola), con l'avvento delle nuove tecnologie, appaiono in via di estinzione le preziose capacità di dar nuova vita, di risemantizzare (come avrebbe detto Carlo Giulio Argan) le materie della natura e i materiali dell'artificio umano.

Il nuovo mondo digitale, fascinoso con le lusinghe e gli inganni del virtuale, stimola tutti gli artisti che hanno una cieca fede in queste tecnologie; così facendo progressivamente queste strumentazioni e i correlati approcci operativi diventano veri e propri distruttori della sensorietà, della sapienza manuale e della conoscenza profonda della materia.

Con ciò non si vuole banalizzare o peggio demonizzare lo sviluppo delle tecnologie, tuttavia va detto qualcosa sul dilagare di una sorta di fittizia "artisticità diffusa", dovuta alla produzione dei tanti sistemi operativi e app che illudono molti pseudoartisti. Naturalmente, facendo qualche dovuta eccezione qualitativa. Costoro realizzano facilmente immagini computerizzate; con la stessa insignificante soddisfazione, né più né meno, dei ragazzi sedotti dai giochi elettronici. Esemplare, in proposito, diventa il lavoro di Leone, homo artifex, che ripropone con la sua vivace creatività forme di sensibile conoscenza attraverso la sapienza manuale; una sorta di correlazione kantiana, quando il filosofo osservò La mano è la finestra della mente.

La mano è dunque alla ricerca e scelta delle pietre: afferra, tocca, tasta il loro potenziale espressivo, la mente agisce nella successiva "risignificazione" (G. A. Leone) con essenziale azione segnica e talvolta lievemente cromatica. Un processo non sempre immediato: la pietra talvolta è nello studio e il tempo dell'intervento è conseguenza di una stasi meditativa che porta alla maturazione visiva e all'assolutezza formale dell'opera. Un'azione totale di rinvenimento, di recupero e visionarietà fortemente contingente, singolarmente simile al nostro essere nel mondo, in der Welt sein avrebbe detto il nostro amato filosofo.

Franco Lista

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Ultimo aggiornamento: 14/10/2020, 13:33