«Il mio lavoro è come un viaggio» Intervista a Felix Policastro (articolo + foto)

18 Febbraio 2021 Redazione A&S 4677

NELLA FOTO: FELIX POLICASTRO ACCANTO AD UNA SUA INSTALLAZIONE PERFORMANCE.

Classe 1961, l’artista Felix Policastro nasce a Ciudad Bolivar, città del Venezuela capitale dello stato di Bolívar, dove ha vissuto sino agli undici anni, per poi trasferirsi a Napoli, dove attualmente vive e lavora. Per meglio conoscere l’artista Felix Policastro, la redazione di Arte & Società è lieta di proporvi questa interessante intervista condotta dal sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello.


INTERVISTA A FELIX POLICASTRO
a cura del sociologo e critico d’arte Maurizio Vitiello


Puoi segnalare il tuo percorso di studi?

Per scelta non ho frequentato né il Liceo Artistico né l’Accademia: una scelta di libertà professionale e di ricerca “VERA”, non tracciata da questo o quel maestro. Ho faticato tre volte tanto per affinare tecnica e pensiero, consapevole delle enormi difficoltà da superare.

Puoi raccontare i desideri iniziali e i sentieri che avevi intenzione di seguire?

Un solo desiderio che si trasformò subito in obiettivo da raggiungere: lavorare nell’ambito dell’arte. Chi viene colto da questa passione sa bene di cosa parlo.

Quando è iniziata la tua voglia di “produrre arte”? 

Da piccolissimo inizia l’intrigante attrazione verso questa forma di espressione. Complice la fortuna di avere uno zio pittore, zio Franco: mi capitava spesso di costringerlo a disegnare e ogni volta che accadeva mi piaceva usare i suoi colori. Ricordo odori forti e inebrianti... ancora oggi – quando apro i miei tubetti – mi soffermo ad annusarne il profumo.

Mi puoi indicare gli artisti bravi che hai conosciuto e con cui hai operato, eventualmente “a due mani”?

Si. Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con Artisti immensi come Hidetoshi Nagasawa, Enrico Baj, Alik Cavaliere, Carlo Alfano, Gillo Dorfles, Franco Mello e tanti altri mi hanno insegnato la discrezione e la ricerca spasmodica del vero. Il poeta Felice Carmine Simonetti mi diceva sempre: “Realizza pure cose brutte, purché siano VERE!” Ecco, ciò succedeva ad inizio carriera, e posso dire di non aver avuto mai più grande lezione.

Quali sono le tue personali da ricordare?

Poche, a dire il vero. Tengo pochissime mostre. Nel 1990 “Pluvia”, quando Joge Ròndon Uzcategui, console Generale della Repubblica Venezuelana – luogo dove sono nato – decide di ospitare una mia mostra nella sede storica di Santa Lucia a Napoli. Nel 1992 La galleria Croix Baragnon di Toulouse in Francia ospita i lavori di “Alcabala”: il termine indica i controlli obbligatori che si devono affrontare attraversando il Venezuela per raggiungere l’Amazzonia. “Alcabala” è quindi un passaggio obbligato, sosta necessaria per poi ripartire, che potremo quindi definire punto focale della ricerca iniziale: il rapporto intellettuale che si instaura tra l’uomo e la natura. La partenza dal Venezuela e il viaggio verso l’Amazzonia erano l’occasione giusta per denunciare ciò che l’uomo ha fatto e continua a fare nei confronti della natura.
Nel 2006 a Palazzo Reale di Napoli, nel giardino romantico, realizzavo una serie di opere ‘site specific’, per denunciare l’arroganza prepotente del potere: il titolo della mostra era “Torno subito”. “No text”, invece, è il titolo della personale allestita – nel giugno 2010 – negli spazi della Fondazione Plart, che comprendeva una installazione scultorea, un video e cinquanta dipinti 30x30 a parete; esposizione che definisce e sancisce il mio abbecedario visivo, e che svela la fonte da cui attingo per le mie figure e per le mie storie. La mostra, curata da Marco Petroni, era accompagnata da un catalogo con scritti di Angela Tecce e Arcangelo Izzo.
“Tepui”, invece, diventa una personale “resa dei conti” con la ricerca. Il libro – edito da Terre Blu – viene stampato su carte pregiate e rilegato a mano, in soli 64 esemplari. Il volume si caratterizza come libro d’artista e oggetto da collezione, nel quale al contenuto iconografico si affianca il piacere delle sensazioni materiche e della fattura artigianale. Quest’ultimo – introdotto da testi di Cherubino Gambardella, Angela Tecce e Andrea Viliani – riproduce una successione di immagini elaborate, utilizzate al fine di descrivere un percorso che è al contempo focus della pubblicazione e punto di arrivo di una attività di ricerca condotta al confine tra le arti visive, il design e la comunicazione grafica.

Puoi precisare i temi e i motivi delle ultime mostre?

I temi sono gli stessi percepiti da ciascuno di noi quotidianamente: l’ingiustizia e l’incapacità da parte dell’uomo di riequilibrare il mondo e quindi bilanciare lo status sociale.

Ora, puoi specificare, segnalare e motivare la gestazione e l’esito delle personali che hai concretizzato e delle esposizioni, tra collettive e rassegne importanti, a cui hai partecipato?

Il mio lavoro è come un viaggio: racconto i luoghi che mi hanno influenzato come l’Egitto, il Sud America – ovviamente – essendo nato e avendo vissuto dieci anni sulla riva sud dell’Orinoco (in Venezuela), la Grecia, l’Inghilterra, la Francia, così come tanti altri. Quei luoghi, e le loro culture, sono insiti in molti miei lavori, riprodotti sotto forma di emozioni e colori. A proposito dei colori, sto pian piano eliminando anche quelli a dire il vero... forse, in un futuro non molto lontano, mi rivolgerò solo al bianco e al nero per i miei prossimi lavori.

Dentro c’è la tua percezione del mondo, forse, ma quanto e perché?

Molto, come dicevo poco fa. La vita di ogni luogo mi fa rinascere e rivivere una dimensione artistica. Ogni volta che questo succede, il rinnovo acquista espressioni sempre più vere e autentiche.

L’Italia è sorgiva per gli artisti dei vari segmenti? La Campania, il Sud, la “vetrina ombelicale” milanese cosa offrono adesso?

L’Italia è senza dubbio un paese baciato da una storia che non ha eguali e, soprattutto, chi – come me – fa Arte, non può non tenerlo in considerazione. È necessario fare i conti con questo enorme patrimonio e, quindi, tenere sempre un occhio puntato sul passato. Questo non per spaventarci, ma per farci procedere consapevoli, con la convinzione di poter sempre aggiungere un granello in questo enorme mare di sabbia dorata.

Quali piste di maestri hai seguito?

Ho, più che altro, cercato di studiare i grandi Maestri, ma non saprei distinguere quali poi ho deciso di seguire, se uno o tutti quanti. La pittura è magia pura, è la più bella donna da corteggiare, è la luna in terra, è poesia.

Pensi di avere una visibilità congrua?

Nell’era della comunicazione confusa non saprei rispondere. L’artista ha bisogno di poter lavorare con i tempi giusti e con le committenze intelligenti. La fama e la visibilità conseguite possono solo essere corredo di un lavoro lungo, puro e autentico. Conosco artisti, scrittori, poeti che si nascondono. Felice Carmine Simonetti, autore volontariamente occulto, ne fu l’esempio principe: è stato ed è tuttora – come testimoniano a gran voce i suoi scritti – uno dei più grandi poeti di sempre.

Quanti “addetti ai lavori” ti seguono?

Non ho una squadra, ma molti amici: critici e letterati che leggono il mio lavoro e ne traggono scritti divulgativi. Io amo i poeti e le loro visioni. Trovo che questi ultimi entrino con maggiore violenza nel lavoro di un artista e, a mio avviso, l’artista non può che esserne grato, poiché percepisce che il suo lavoro si completa attraverso l’immaginario di un poeta. È questo, forse, il vero obiettivo.

Quali linee operative pensi di tracciare nell’immediato futuro?

Non faccio mai progetti, non mi piace programmare – amo, però, avere il tempo necessario per potermi esprimere al meglio e per arrivare a quella ‘autenticità’ che mi ostino a riproporre e a ricercare. Uno degli obiettivi futuri è quello di ‘sconfiggere’ il colore, di annientarlo – ed è una lotta impari, lo so... ma ritengo il colore ‘non profondo’, o meglio, incapace di portarci oltre. Attualmente, sto esplorando il sottosuolo e sono convinto che tutti dovrebbero fare i conti con le formiche e il loro habitat: loro scavano gallerie architettoniche, esteticamente più funzionali di quelle degli umani. Non mi ritengo un artista ameno, anche se poi il messaggio va nella direzione di ricerca della felicità VERA. Il momento storico in cui viviamo non ci permette illusioni stupidamente vicine all’immaginario collettivo... e quindi tutto dovrebbe inquietarci poiché tutto è realmente inquietante.

Pensi che sia difficile riuscire a penetrare le frontiere dell’arte? Quanti, secondo te, riescono a saper “leggere” l’arte contemporanea e a districarsi tra le “mistificazioni” e le “provocazioni”?

Eh... in giro – a tutti i livelli – ci sono un sacco di mistificatori, capaci di vendere ogni cosa. Il pubblico è enormemente distratto e detronizzato dalle mille cose quotidiane: come se attraverso queste, le persone, potessero dimostrare e affermare la loro stessa esistenza.

I “social” t’appoggiano, ne fai uso?

Si, mi divertono. Studio i miei simili.

Con chi ti farebbe piacere collaborare tra critico, artista, promoter per metter su una mostra o una rassegna estesa di artisti collimanti con la tua ultima produzione?

Se intendi critici/artisti affini, credo ci siano molti amici (critici e artisti) con cui mi piacerebbe avere un confronto severo. Sarebbe all’origine di ogni buon rapporto di produzione e, forse, l’unica modalità che ne garantirebbe lo spessore e il valore per poter pensare di realizzare qualcosa di concreto. Purtroppo, oggi, la frequentazione dei reciproci studi affinché si possa discutere e confrontarsi – prima ancora di realizzare una mostra o un evento – è una pratica in disuso.

Perché il pubblico dovrebbe ricordarsi dei tuoi impegni?

Il pubblico non è obbligato a far niente che non includa lo studio e la personale lettura di ciò che vede, se intende trovare un arricchimento e, a sua volta, arricchire. L’artista non crea niente di definitivo, altrimenti sarebbe un burocrate, l’artista fa un gesto. Il gesto dell’artista è capace di scatenare nel fruitore una serie di emozioni, che portano alla effettiva definizione dell’opera, ed è sempre l’“apporto” del fruitore che la completa. Sempre.

Pensi che sia giusto avvicinare i giovani e presentare l’arte in ambito scolastico, accademico, universitario e con quali metodi educativi esemplari?

Trovo a questo punto necessaria una vera e propria invasione di scuole atenei, ma non solo: sono convinto che l’arte andrebbe insegnata a chiunque, perché madre di ogni individuo nobile, di sentimenti buoni, nonché aspirazione ultima di ognuno.

Prossime mosse, a Londra, Parigi, New York?

Ho avuto la fortuna di esporre in tutti questi luoghi e tornarci sarebbe sempre cosa gradita: il viaggio rinnova e aiuta la crescita, di cui si ha sempre bisogno.

Che futuro si prevede post-COVID19?

Buono, mi auguro. Senza dubbio non potrà che essere migliore di ciò che siamo riusciti a fare fino a Marzo 2020, quando il nulla stava prendendo una brutta piega. Staremo a vedere e affidiamoci ai nuovi giovani nuovi... ripongo in loro tutto ciò che di buono avremo il dovere di vivere.

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Ultimo aggiornamento: 14/09/2023, 19:15