La scatola magica, intervista a Patrizia Varone

30 Aprile 2021 Redazione A&S 4817

NELLA FOTO: LA FOTOGRAFA E GIORNALISTA PATRIZIA VARONE.

Lo sguardo ‘fotografico’ di Patrizia Varone porta lontano dal chiasso mediatico dei nostri giorni, così distaccato come è dal caos intricato dei selfie, dall’intasata memoria di cellulari e computer. Il nostro incontro lo ha voluto il mare: il Mediterraneo, infatti, con la sua cultura, fascino, bellezza è stato l’elemento scatenante; ci siamo riconosciute in comuni intenti, interessi e obiettivi da raggiungere. È iniziato un percorso di amicizia e di stima testimoniata oggi da questa intervista. Conduce ad ascoltare il ‘silenzio’ della foto e quello dell’oggetto che vi è impresso. Racconta gli spazi abbandonati da una comunicazione tutta colore e effetto; il suo sguardo va oltre il mero consumo, cercando di raggiungere il significato, il senso che è all’origine delle immagini ovvero del reale. Non si tratta quindi di un ‘fermo immagine’ e basta. Giornalista per La Lettura del Corriere della Sera e Direttrice artistica della rassegna Mediterraneo Fotografia, Patrizia dice che non vuole essere una fotografa e non lo è nella comune accezione del termine, ma la fotografia la pratica, la vive, la scopre, anche donando all’altro la possibilità di portarla alla luce. Fotografia come modalità di relazione con il mondo, quindi ricordo, memoria, traccia di emozioni sconosciute, immersione negli occhi dell’altro, continuo dialogo.


INTERVISTA A PATRIZIA VARONE
(a cura della giornalista e scrittrice Rita Felerico)


Patrizia quando nasce in te l’interesse per la fotografia e come questa passione si è trasformata e rafforzata nel tempo?

La fotografia ho cominciato ad amarla da piccola. La macchina fotografica a soffietto di mio padre era per me una scatola magica. Poi per divertimento, non sono e non intendo diventare fotografa, ho cominciato a fotografare, durante le gite scolastiche, nella quotidianità. Al liceo qualcuno mi propose di sbirciare la rivista della Kodak per scoprire i misteri che si nascondevano dietro le immagini a colori dagli scenari astratti, d’avanguardia: mi appassionai! In seguito, leggendo “La nuova tecnica della fotografia” di Andreas Feininger pensai anche di studiarla. Ma il programma della facoltà di Scienze Politiche mi ammaliò, ed eccomi laureata. A vedermi giornalista è stato un professore del percorso di laurea: mi chiese di elaborare un testo sulle reti di sviluppo globale partendo da una serie di articoli in francese. Ho sempre avuto la passione per la scrittura; da adolescente adoravo scrivere lettere, storie e poesiole anche solo per divertimento. Dopodiché ho cominciato ad elaborare testi per giornalini di associazioni e per testate locali e dopo il master in giornalismo e l’esame nazionale, eccomi professionista. Comunque sia, lo sguardo, la visione del mondo, la lettura, la narrazione attraverso la fotografia mi accompagnano. Una meraviglia che si svela, come nuova, ogni volta. Ogni autore offre il proprio sguardo al nostro pianeta, per scoprirlo, conoscerlo con racconti mai uguali.

Sei Presidente de “Lo Cunto”, una associazione APS. Qual’è la sua attività? e le sue finalità?

"Lo Cunto" è un’associazione di promozione sociale che si ispira ai principi della crescita culturale della società civile. Impegnata nella diffusione della conoscenza e dello sviluppo interculturale, realizza esposizioni, pubblicazioni, convegni, seminari e eventi di divulgazione. Mediterraneo Fotografia è il progetto cardine dell’associazione, intorno al quale ruotano la rassegna annuale, i laboratori di fotografia per donne e per stranieri, la promozione di pubblicazioni di racconti e di saggi relativi allo spazio Euro-Mediterraneo, le attività online di Med Mag, il blog di informazioni su culture, arti e fotografia, quest’ultimo non solo sul Mediterraneo. Infine “Letture”, un ciclo di incontri con autori di libri fotografici e narranti”, e “IDENTIKIT Incontri d’Arte”, il format online esclusivo che mette al centro gli artisti. Tutte le attività sono nate dall’intento di divulgare la cultura artistica e fotografica e di sviluppare attraverso esse interazioni sociali inusuali, strutturando collaborazioni motivate, con critici, autori di rilievo ed enti di respiro europeo.

Quali altri obiettivi ti proponi di raggiungere in futuro?

Mi piace procedere a piccoli passi, mi offro così l’opportunità di riflettere su ciò che è stato messo in campo e proporre nuove acquisizioni. Credo comunque che la visione a lungo termine sia necessaria accompagnata dall’elasticità che riconsidera le interazioni e le attività secondo la molteplicità delle variabili che anno dopo anno si sono affrontate, tenendo conto dei risultati messi in campo e delle riflessioni che gli errori hanno apportato. Si possono attuare così reti di collaborazioni motivate, costruttive e strutturate nel tempo; in questo modo si possono generare grandi trasformazioni dalle piccole azioni costanti e continue. Come vedi, parlare di obiettivi, che ritengo una modalità di marketing, mi trova poco a mio agio. Preferisco ragionare di crescita dei progetti avviati, i cui ritmi e tempi sono del tutto singolari; le scelte che identificano un progetto e il percorso da seguire non sono mai scontate e delineabili. Ad oggi posso raccontare di aver messo su un’associazione e una rassegna annuale di fotografia “Mediterraneo Fotografia” – dal 2012 – frutto del lavoro mio e delle persone che fino ad ora hanno collaborato con me. Entrambe mi hanno dato, e mi offrono ancora, l’opportunità di acquisire conoscenze impensabili alla partenza; a piccoli passi, abbiamo ottenuto un riscontro e cominciamo ad essere riconosciuti: “Mediterraneo Fotografia” ha un’identità.

Hai dedicato una parte della tua esperienza e professionalità all’educazione e all’insegnamento della fotografia. Raccontaci come, perché, le tue riflessioni.

Ci riferiamo ai Laboratori di fotografia per donne e ai Laboratori di fotografia per stranieri, creati per mettere insieme persone di culture diverse che vivono nello stesso contesto urbano, vero spazio di interazioni interculturali. Nei Laboratori la fotografia diventa il mezzo per raccontare la propria quotidianità ed il proprio vissuto, ma anche occasione di sviluppare uno sguardo nuovo sulla città. I laboratori si trasformano così in un’esperienza umana unica, piena. L’incontro tra persone, provenienti da qualsiasi Paese, che hanno raggiunto le nostre località per qualsivoglia motivo, con cittadini, studenti, donne del posto, apre dialoghi inconsueti e sorprendenti. E le immagini realizzate sostengono e supportano l’avvio di narrazioni insolite e di, perché no, nuove amicizie.

La fotografia, espressione artistica protesa oltre i confini della testimonianza e della memoria attraverso il linguaggio del ‘cogliere l’istante’, offre una concezione particolare del tempo. Quale spazio occupa nel panorama culturale e artistico contemporaneo?

La fotografia per quanto sia un medium nato da poco – ha poco più di 150 anni – è a tutti gli effetti uno dei principali motori dell’espressione artistica contemporanea, declinata in tutte le sue sfaccettature. La questione della transitorietà e del cogliere l’attimo, è stato un valore assoluto, uno svelamento, per Henri Cartier-Bresson e l’epoca in cui è vissuto. Oggi sono ben altri i confini verso cui si spinge la fotografia. La progettazione e la sperimentazione dell’immagine come arte tendono all’interazione con altri linguaggi artistici o all’uso creativo dell’errore fotografico, ben analizzato da Clement Cheroux. La fotografia è a tutti gli effetti arte o mezzo artistico al servizio dell’espressività artistica. Ed è il mezzo maggiormente utilizzato dalle donne. In generale credo che qualsiasi sia il motore dello sviluppo di un lavoro fotografico, qualsiasi sia il genere elaborato, la funzione di memoria, di documentazione è prevalente, e per quanto riconosciuta, non sia ancora stata del tutto valorizzata e oserei dire anche lavorata. La memoria, passata e presente, è un incontestabile punto di partenza attraverso cui i fotografi hanno raccontato e raccontano il proprio presente, mai fermo, sempre mutevole e dunque ogni volta nuovo. Ci sono fotografi che utilizzano immagini di sconosciuti recuperate nei mercati di antiquariato per elaborare lavori e operazioni artistiche notevoli. Altri che si ispirano a tecniche o modalità passate. La memoria, è valore inestimabile per le nostre generazioni nate con il medium fotografico, e per quelle che verranno. Charles-Henri Favrod, Vincent Jolivet raccontano come le spedizioni – in seguito alla scoperta del mezzo tecnico che permetteva di elaborare fotografie – a metà ottocento verso i Paesi ricchi di archeologia, conosciuti per il Grand Tour, hanno rappresentato una svolta per la catalogazione e lo studio dei siti e reperti archeologici. Predrag Metvejevic confessa quanto siano state utili ai suoi scritti le immagini di autori, tra cui Mimmo Iodice, sul Mediterraneo, per avergli permesso di osservare dettagli inimmaginabili senza essere stato sul posto. La fotografia è espressione artistica, ma indubbiamente è documento e la cura che si sta sviluppando intorno agli archivi fotografici, come Alinari di Firenze, comincia a dare sostanza e rilievo a questo aspetto della fotografia.

Fotografia e digitale.Fotografia e pandemia.

La fotografia e l’immagine che ne scaturisce hanno svariati modi per essere realizzate ed essere messe al mondo. Ogni autore sceglie il suo. Dal foro stenopeico, al medio formato, al negativo in rullini, alla polaroid, al digitale, per elencarne solo alcuni. Il mezzo che si usa non fa l’artista, è l’artista che piega alla sua creatività il mezzo che sceglie di utilizzare. Molti autori, anche famosi come Letizia Battaglia ad esempio, non sono riusciti ad utilizzare questo tempo pandemico per creare nuovi progetti. Tanti hanno lavorato, nonostante le difficoltà, alla documentazione di ciò che è accaduto. Altri stanno riflettendo sul quanto la pandemia abbia modificato il proprio modo di fotografare e quanto i cambiamenti sociali dovuti alla pandemia stiano entrando negli approcci con le persone, le cose e dunque anche con la fotografia. Ma è ancora presto per riflettere ed elaborare il portato di ciò che stiamo vivendo e dunque ciò che si riscontrerà nelle arti, nella cultura, nella società e nella fotografia. Sarà possibile solo nel tempo e, probabilmente, a pandemia finita. A quel punto avremo modo di osservare ciò che artisticamente potrà produrre l’aver vissuto questo momento così difficile, per i più svariati motivi, per tutti, avvalendoci anche della documentazione effettuata.

Regalaci una frase che possa cogliere il significato che ha per te l’atto del fotografare.

La fotografia è arte e comunicazione, memoria e storia.

Rita Felerico

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Ultimo aggiornamento: 30/04/2021, 11:51