Deep Trance: recensione della personale fotografica di Camillo Ripaldi

2 Novembre 2020 Redazione A&S 3433

NELLA FOTO: 01 – CAMILLO RIPALDI – SENZA TITOLO – 2020.

Entrare nelle immagini, scavare dentro le forme che immediate si mostrano allo sguardo per scoprire altre realtà, altre dimensioni di vita non immediatamente visibili all’osservatore, ma non per questo sconosciute. Il progetto fotografico Deep Trance di Camillo Ripaldi si pone questo obiettivo e le immagini poste dal tempo in un luogo dimenticato della memoria, in attesa di svelarsi, si intrecciano e dialogano con quelle del presente. L’intuizione e la ricerca dell’artista si concretizzano in una mostra inaugurata lo scorso 3 Ottobre presso la NINA Gallery Open Space (Via Nilo, 34 - Napoli), in occasione della seconda edizione della manifestazione Open House ed in mostra fino al 30 Novembre 2020 (per contatti: ninaopenspace2020@yahoo.com, +393477323714, +393339371806).

Coinvolge emotivamente il percorso artistico, scandito da una grande istallazione a parete e da una decina tra dittici e trittici di fotografie digitali; è immediato far parte del loro movimento, si muove l’occhio, la mente e il sentimento che spicca il volo da un luogo, un materiale, un oggetto parte di un passato individuale e collettivo. Le immagini mute, assopite ma non per questo dissolte dal suono e dal ritmo dell’oggi, viaggiano con coraggio ai margini e dentro un tempo reale e irreale; destruttura il linguaggio di comunicazione l’artista e l’immagine si compie attraverso la sua capacità di relazione e quella di creare relazioni fra la realtà e chi guarda, fra la realtà e un noi, anche quello custodito nella memoria.

Camillo Ripaldi - Senza Titolo - 2020

Interessante quanto afferma la curatrice della mostra Marina Guida: È qui che Ripaldi compie la sua magia: attraverso le sue composizioni impossibili – trasgredendo ogni regola della composizione fotografica classica – passando attraverso la vertigine della visione, ci fa riflettere una volta di più, sulla possibilità che la fotografia ha di catturare la realtà e raccontare, meglio di ogni altra disciplina del visivo, una verità più ampia dell’orizzonte del visibile, proprio perché ha fatto i conti con quello invisibile.

La mostra possiede la sua meraviglia in quel sentirsi parte di ciò che si vede, le prospettive sembrano trasbordare dai confini dei quadri, scoppiare nel nostro intimo guardare: si riconoscono le forme, le strutture delle chiese, sotto le quali covano i resti dei templi greci e romani, delle basiliche paleocristiane, i quartieri chiassosi, greci e romani, le botteghe colme di merce, la folla dei mercati, i bui scorci medioevali, i vicoli stretti e sempre quelli, le altezze dei palazzi nobiliari e non è solo la dimensione dello spazio dettato dalle architetture. C’è la storia con il suo dolore e le sue vittorie, i trionfi delle monarchie, la povertà delle masse. Quel tufo fragile e poroso lascia trapassare anche dalla carta dei fotogrammi le emozioni e le trepidazioni, i pianti di una atmosfera che è dentro le ossa e le vene di coloro che oggi passeggiano fra le strade della Napoli di oggi. Ma quei vicoli incastrati appartengono alle città del Sud, alle città del mondo, strade dove si incontrano miseria e umana luminosità, patrimonio pronto per essere ghermito e violentato.

Camillo Ripaldi - Senza Titolo - 2020

La luce ben equilibrata che Camillo Ripaldi ha saputo far circolare nelle immagini, mi ha portato alla mente il dagherrotipo e l'osservazione di un fisico che visse a lungo a Portici, professore all’Università Federico II e direttore dell’Osservatorio Vesuviano, Macedonio Melloni: Chi avrebbe creduto pochi mesi fa che la luce, essere penetrabile, intangibile, imponderabile, privo insomma di tutte le proprietà della materia, avrebbe assunto l’incarico del pittore disegnando propriamente di per sé stessa, e colla più squisita maestria quelle eteree immagini ch’ella dianzi dipingeva sfuggevoli nella camera oscura e che l’arte si sforzava invano di arrestare? Eppure questo miracolo si è compiutamente operato fra le mani del nostro Dagherre. (Relazione intorno al dagherrotipo, 1839)

La mostra testimonia quindi non solo l’alta professionalità dell’artista, ma la sua costante ricerca e curiosità nell’intraprendere diversi linguaggi espressivi, nonché il suo spessore umano e l’amore ricco di passione per la sua terra. Un plauso a Marina Guidi, la curatrice che ha letto dentro l’anima dell’autore, e alle amiche della Nina Gallery Cinzia Florio e Teresa Tolentino che hanno saputo creare nel cuore del centro antico, in un luogo dove si respira storia e creatività, uno spazio espositivo libero, aperto a tutte le espressioni artistiche contemporanee: pittura, scultura, fotografia, video arte, laboratori creativi anche in temporary gallery. Una passeggiata da programmare per raggiungere il cortile interno dell’antico Palazzo del Real Monte Manso di Scala, a pochi passi dalla Cappella Sansevero, dal Decumano Centrale e si può anche captare da lì l’irresistibile profumo di una delle più buone pizze fritte della città, COVID permettendo!

Rita Felerico

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Ultimo aggiornamento: 02/11/2020, 19:46