Nicola Pica / Note critiche

24 Novembre 2021 Redazione A&S 455

NELLA FOTO: NICOLA PICA E VITTORIO SGARBI @ PREMIO INTERNAZIONALE ARTE SALERNO 2017.

NOTA CRITICA 1
(a cura di Ivan Caccavale)

Sin dalla più tenera età Nicola Pica ha subito una forte fascinazione nei confronti del colore e del disegno, cui si è dedicato con sempre maggiore interesse nel corso degli anni e con vivo entusiasmo. È facilmente intuibile dunque che l’espressione artistica su tela sia divenuto il suo mezzo di comunicazione privilegiato per l’entrinsecazione dei suoi moti interiori. Diversamente ispirato, l’autore ha battuto diverse strade, palesando, di volta in volta, elementi di tangenza con l’impressionismo, l’espressionismo, l’astratto-informale.
Osservando la sua parabola artistica, si noterà la varietà delle tematiche affrontate, elemento sintomatico di un individuo che vive attivamente il suo tempo, con una sua autonoma e critica visione dei fatti, con una sensibilità ed un corpus etico tale da consentirgli di esprimersi, tramite il mezzo pittorico, sulle problematiche odierne.
Ecco dunque le sue tele animarsi di soggetti socialmente fragili quali anziani, bambini vessati, donne violate nella loro integrità psico-fisica, migranti: personalità ai margini su cui invece Pica vuole porre l’attenzione, per un coinvolgimento diretto del fruitore, posto, in tal modo, in condizione di fare le necessarie considerazioni.
La dimensione spazio-temporale ritratta è sempre in bilico tra reale e immaginario: se si riconoscono in molti casi degli elementi di immanenza oggettiva, è pur vero che lo spessore artistico dell’esecutore apporta nelle opere quell’intensità lirica che sublima e sugella la visione del reale.
Artista figlio della sua terra, Pica si dedica non raramente alla rappresentazione del suo territorio, il Sannio, e di Ponte, sua città natale, antico feudo di proprietà di diverse famiglie gentilizie, dai Fenucchio ai Sanframondo, dai Caracciolo ai Sarriano.
Il centro urbano in questione viene immortalato preferibilmente di notte, con una velata malinconia: piazza Riola, con il suo antico castello di origine longobarda ha il fascino delle vestigia del passato, custode dell’identità culturale del borgo, nella sua specificità, nel suo essere nido protettivo per quanti vi abitano. E lo scroscio rapido di una fontana rompe il silenzio aranciato della notte, luce tipica dei centri storici dello Stivale: «Il silenzio è per le orecchie ciò che la notte è per gli occhi».
Si delineano delle scene di intimo raccoglimento, una versione visiva di un tema toccato più volte dalla letteratura italiana, i cui esempi più eclatanti si individuano ne “I Promessi Sposi” o “I Malavoglia”.
Le restituzioni artistiche di stampo paesistico non sono mai descrittive, ma narrative. Lo sguardo dell’artista si sposta dai vicoli e dalle piazze silenziose di Ponte a lacerti in cui elemento naturale e antropizzato convivono placidamente, fino alla raffigurazione di paesaggi in cui è totalmente bandita la presenza umana. Questi rapidi passaggi sono testimoni una concezione temporale totalmente autonoma e arbitraria, scandita da un intimo sentire, fino all’annullamento della stessa: ciò è particolarmente evidente nell’ ultimo approdo della sua poetica stilistica, la “Cromocostruzione”.
Trattasi di uno stile ideato dall’autore in questione, basato sulla piena azione del colore, nei confronti del quale le immagini hanno un rapporto di piena dipendenza. La Cromocostruzione è da ritenersi il frutto della costante e sempre attenta ricerca di Pica, il prodotto finale di un’esperienza attraverso diversi stili e tematiche. Essa tratteggia un mondo ideale in cui protagonista assoluta è la Natura, nei diversi elementi che la compongono: un organismo perfetto che genera sensazioni di benessere e calma nell’osservatore.
In opere di siffatto concepimento i fianchi delle colline e dei monti solcano la superficie pittorica con un tratto morbido, ondulandola. Se il gioco di linee orizzontali è controbilanciato dalle chiome degli alberi, posizionati strategicamente per l’armonia d’insieme della tela, non minore importanza riveste, ai fini del pieno appagamento estetico, l’uso complementare delle cromie, giustapposte. Tra questi profili si fa strada, in certi casi, il letto di un fiume sciabordante, con tutto il suo vitale fluire.
La semplificazione dei soggetti, la spontaneità e la sincera allegrezza di queste composizioni, così come la prospettiva arbitraria tradiscono un certo spirito naïf.
Le tele di questo ciclo sono permeate da toni fiabeschi. Diametralmente opposte all’idea di vegetazione quale bosco, ovvero luogo ignoto, selvaggio, di smarrimento, in opposizione a quanto è coltivato, costruito e civilizzato, in cui la luce non riesce a penetrare (un topos di  cui sono esempi la celeberrima “selva oscura” di dantesca memoria, ma anche i folti boschi delle fiabe della tradizione nordica), le opere del Maestro hanno sicuramente una connotazione positiva: si tratta infatti di paesaggi naturali aperti, di ampio respiro, con gli appezzamenti solcati da linee di demarcazione, in linea con una idea di Natura benevola, fonte di Vita
Riallacciandosi ad una visione francescana del Creato, in un’epoca in cui al Santo va riconosciuto il merito di aver iniziato a dare attenzione al paesaggio, le tele dell’esecutore suggeriscono una immersione panteistica nei confronti del Creato, con una inversione di rotta rispetto alla funzione accessoria che per secoli la critica ha attribuito all’elemento paesistico.
Le gradevoli collinette ammirabili in questa ultima fase produttiva divengono una costante della trama stilistica: esse prendono forma alla stregua di tessere dalla cui orchestrazione e compenetrazione deriva la poetica immagine d’insieme e si animano di colori a partire dal bianco del cielo, cromia nota per la capacità di riflessione di tutte le altre lunghezze d’onda visibili.


NOTA CRITICA 2
(a cura di Federico Caloi)

Lo spettro visibile dei colori, così come le note della musica, è composto da sette colori. La luce si rifrange sulle superfici della materia componendo questa magia che noi chiamiamo colore, ed il bianco, quella radiazione elettromagnetica che noi percepiamo come tale, è il risultato della sommatoria di tutte le vibrazioni luminose; accorpa a sé tutti i colori.
È proprio intorno al concetto del colore che Nicola Pica ha deciso di costruire la sua nuova pittura, un nuovo percorso forte ed efficace. Nicola Pica, artista sensibile e spontaneo, è già da qualche anno protagonista della scena artistica.
Cromocostruzione, è questo il nome che Pica ha dato alla sua novità. Il figurativo, con questo artista, parte dalla concettualizzazione intorno all’astrazione della idea del colore. Un ribaltamento, in questo senso, rispetto alla tradizionale realizzazione nelle opere di rappresentazione. È per questo che abbiamo citato la teoria dei colori e di questi, il bianco. Per l’artista il colore non è più casuale, la sua stesura nell’impianto scenico di questi paesaggi risponde ad una scelta meditata.
La Cromocostruzione lega i colori attraverso una relazione, uno scambio cromatico che rende soave e conferisce morbidezza al paesaggio. L’ombra degli alberi e la luce, che si sposta dal primo piano per rendersi più accesa nello sfondo, fino al cielo, arricchisce questa sensazione gradevole di un ordine precostituito, rafforzato dalla pastosità del colore.