Emma Chiavarone / Critica

20 Febbraio 2022 Redazione A&S 565

NELLA FOTO: CHIAVARONE CRITICA.

TESTO CRITICO #1
(di Maurizio Vitiello, 2022)

Sulla produzione plastica di Emma Chiavarone
[...] Emma Chiavarone ha un suo spessore, perché snocciola una qualità espressiva in termini morbidi e, nel contempo, consistenti. Una sensibilità di convincimenti emerge e compare dalle sue opere, mentre si divide, tra plurime trasferte, tra Lazio, Cisterna di Latina, e Campania, Napoli. Le incursioni nella materia sono appassionate, di tono vitale, e vengono esaltate in un “corpus” di lavori di forza attrattiva. I suoi lavori crescono su un modellato sicuro ed equilibrato; ogni forma è calibrata e risponde a una ricerca anatomica rigorosa, centrata, confortata e declinata su una figurazione che respira di emozioni. Ogni opera è sintesi gentile di un magistero attento a ricomporre, ripercorrere e a ridisegnare la figurazione nelle sue mute versatilità. Nelle sue programmate ecletticità tematiche degni risultati manifestano sentieri di segmentazioni brevi, teorie di accenti segnici e di riparti determinati, che attraversano il campo degli affetti, del cerchio delle intimità domestiche e della rispettosa “capsula del tempo” che è il corpo umano. [...] La brava artista riesce a motivare attese e sospensioni, ma anche una tenuta di squarci apicali, di segnacoli e di segnature, nonché prospettive tutte incidenti e coerenti, che si staccano per interessare il paradigma di una cifra singolare. Valutazioni di approfondimenti, che risultano ben distribuite, grazie a precisi calcoli materici, di luce e di taglio, scandiscono intriganti ritmi interiori, che depositano sul campo visivo azioni possibili quanto segmenti sospesi di vita.


TESTO CRITICO #2
(di Mario Scippa, 2011)

La terra cotta: l'ipocondriaca materia
Quando ho conosciuto Emma Chiavarone la prima cosa che mi ha colpito di lei è stata la sua umiltà. Non modestia, perché l'artista è consapevole della sua sensibilità, abilità e vocazione quasi naturale a dare, con forza e sicurezza "un'anima alla materia", ma umiltà, che si esprime in una grandissima apertura alla conoscenza e con una naturale predisposizione all'ascolto, qualità che sembrano sempre di più perdersi negli ultimi anni tra gli artisti contemporanei, pervasi da presunzioni e da piccoli o grandi deliri di onniscenza. Tale umiltà si esprime principalmente nella sua opera, in un terreno linguistico oggi spesso messo in discussione: il figurativo. Io non amo costruire delle classificazioni (figurativo, non figurativo ecc ecc) ho, invece, una visione unitaria dell'arte e vedo e vivo l'artista come colui che si sforza di mettere in forma una idea con la materia. E quando poi questa idea prende forma e parla al mondo con il suo linguaggio e quando sento che esprime qualcosa in più a quello che consciamente era nell'idea dell'artista stesso, ovvero quando l'opera riesce a costruire un rapporto empatico con il fruitore a prescindere da ciò che ha spinto l'artista a realizzarla, mi rendo conto di essere di fronte all'arte, all'arte vera, quella con la A maiuscola, che non ha bisogno di essere classificata per genere. Ed è il caso delle sculture di Emma Chiavarone. Immagini che già dalla scelta della materia - terracotta, terra bruciata dal fuoco- simbolicamente mi riportano alla nostra madre terra, alla terra partenopea, terra bruciata dal fuoco che vive nelle sue stesse viscere. I suoi personaggi, i suoi personali fantasmi, dalle pose classiche, sono immersi sempre in una dimensione a-temporale ma con tutti i riferimenti precisi alla contemporaneità. Sono profili ed espressioni della nostra storia, dell'antica grecia e di tutta una storia antropologica della popolazione partenopea, sono rintracciati e portati alla luce nei volti delle persone a lei care, il padre il nipote, la mamma, l'amica di sempre. Il ritratto è per lei un pretesto per costruire sapientemente, e con estrema abilità e conoscenza tecnica della materia scultura, una forma moderna che affonda le sue radici nella millenaria storia della sua terra: Napoli. Lei ama molto i grandi scultori napoletani dei primi del novecento, a partire da Vincenzo Gemito, e i riferimenti al maestro non mancano nelle sue sculture. Come Gemito, anche la Chiavarone aggiunge un tassello, infinitesimo, alla narrazione attraverso la scultura di una forma classica che è in noi napoletani. Una forma che ci portiamo tutti dentro ed è la risultante di miti, credenze, paure, luce, buio, acqua, fuoco, orizzonti, bloccati e chiusi, odori e puzze, miseria e nobiltà, odio e amore: Napoli.